domenica 30 ottobre 2011

Restless

È il titolo dell'ultimo film di Gus van Sant. Parla di giovani violentati dalla vita, di elaborazioni del lutto di esserci ancora, della scoperta di non avere un proprio ma di essere ostaggi dell'altro. Un sé anarchico dato in prestito per un po' a una coscienza ignara. Giusto il tempo di scoprire come stanno le cose e avere modo di prepararsi alla vita imparando a restituirla senza scarti. Lo si può fare con tragica grazia oppure ribellandosi demiurgicamente. Provando a fare finta di condurre il gioco, a farsi violenza da soli per nascondere la violenza originaria. Alla fine si tratta solo di una identificazione con l'altro carnefice prendendone all'occorrenza le veci. Al massimo si può diversificare la storia. Però si è sempre all'interno dello stesso gioco al massacro sia auto o etero indotto.
I giovani di Gus van Sant hanno scelto per quanto possibile la prima via. Inutile il risentimento, il rimbalzo della colpa, la rivendicazione, la rivalsa. Andare oltre non è semplice. Dopo tante battaglie, rimane solo l'accudimento reciproco in vista del proprio o altrui funerale. Con una grazia infinita, una dolcezza d'animo in grado di farti morire in piedi nonostante i colpi della vita. Tutto con leggerezza, distacco partecipe. Consapevoli di aver già perduto ogni cosa ancora prima di nascere. Espropriati da sé stessi da sempre. Il massimo dell'alienazione però con coscienza. Il sé come altro. Il rapporto costante con un nemico con il quale bisogna fare comunque i conti.
A chi interessano oggi tali tematiche?
Tra qualche giorno sarà Halloween.
Si parteciperà alla festa nonostante tutto, come nel film. Però nulla a che spartire con lo spirito orgiastico di chi pensa di prendere parte a un banchetto. Nella vita non si tratta di prendere, quanto piuttosto di rendere. Al massimo si può partecipare allo spettacolo del proprio corpo fatto a pezzi lentamente, trasformato al punto di essere irriconoscibile. L'alieno sublime inguardabile allo specchio. Doppio perturbante per quanto familiare e sconosciuto allo stesso tempo.
Insomma un film per tutti, alla fine per nessuno.
Una garanzia di qualità.
Totalmente estraneo alle logiche dello spettacolo.
Film antieconomico per eccellenza, per questo scartato a prescindere.
Una sola settimana di programmazione all'Odeon.
Poi il sacrificio sull'altare del botteghino per risorgere due settimane dopo all'Antoniano. Un cinema parrocchiale incluso nell'antistante convento dei frati. Un luogo un programma. Cinema della spoliazione per l'appunto, accolto da chi ha fatto della povertà il simbolo assoluto della vita. L'unica concessione a tale rigore è la festa post mortem. Il banchetto conclusivo per chi rimane a portare in silenzio la memoria intima dei bei momenti vissuti insieme.
In sala siamo in sei.
Appena seduto trovo al mio fianco una coppia di amici. A una spanna, senza volerlo. Ancora una volta l'imprevisto piacevole come la ciliegina sulla torta.
A metà film si accende una luce a rompere l'atmosfera.
Non si sa perché.
Rimarrà a farci compagnia fino alla fine.
Ma va bene così.
Questo è un cinema del disincanto e della giusta distanza.
Anche il troppo buio può accecare!
Meglio stare a contatto con la realtà circostante per potersi dire “è solo un film”.
Senza esaltazioni particolari.
Chissà... forse era previsto dal copione...
Usciti ci troviamo fuori a parlare tutti e sei.
Come amici di vecchia data.
Fuori dal tempo, dallo spazio.
Si sta insieme per un po'.
Poi ci si saluta fraternamente. Non prima di essersi dati appuntamento al Galliera, un altro cinema parrocchiale. Per vedere l'ennesimo film scartato dalla “vita”.

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