lunedì 16 maggio 2011

Masse critiche

Era il secondo sabato del mese.
Il giorno della critical mass.
Come solito alle quattro mai puntuali si cominciavano a radunare il popolo variopinto in bici.
Quel giorno era speciale più di tanti altri.
Alessandro e la sua sposa avevano deciso di festeggiare la loro unione partecipando al corteo a due ruote. In risciò trainato da un valente pedalatore, seguiti dagli invitati, compresi i parenti più stretti.
Come d'abitudine scoccate le quattro e mezzo abbondanti la massa radunata nella piazza tenuta a freno con impazienza si mobilitava. In un baleno tutti girarono le loro bici poggiate al suolo a testa in giù. E via uno dietro l'altro in fila per trovare una via di fuga dalla piazza verso chissà quale direzione. Anche oggi a caso, secondo il capriccio del condottiero di turno. Tutti gli altri a seguire fiduciosi suonavano i campanelli, urlavano slogan, ridevano di gioia.
Compatti sulla strada si era creato un muro mobile, meglio un'onda capace di dilagare sulla strada occupandola tutta.
Una volta tanto le macchine dovevano accodarsi e seguire a ritmo di pedalata. Certo non senza imprecazioni, suonando nervosamente il clacson. Non tutti la prendevano male. C'era pure chi diviso tra auto e bici solidarizzava simpaticamente e incitava a continuare la protesta pacifica.
La processione durò per tutto il pomeriggio in una città caotica e variegata. Quel giorno c'era pure la millemiglia. Tanta gente stava assiepata lungo la strada per vedere i bolidi a quattroruote reduci di tanti successi oramai lontani. Alla fine a prevalere era la confusione. Tutto si mescolava al punto di non riuscire a capire più niente. Le urla della massa critica, il clacson delle auto, il rombo dei motori a dodici cilindri, il tifo degli spettatori lungo la strada. Un'immensa folla aveva invaso ogni angolo del centro. Tutto era diventato indistinto, caotico. Roba da far girare la testa.
Allo stesso tempo un sentimento di ebbrezza misto a smarrimento aveva contagiato i partecipanti. Come si fosse stati tante pedine di un gioco più grande sparpagliate a caso lungo le vie della città. Un movimento di troppo e tutto sarebbe crollato per contagio.
Non successe nulla di strano.
Anche quel pomeriggio il giro fini in piazza s. Francesco.
Ancora presto, la piazza semivuota venne invasa dalle biciclette.
Il carretto degli sposi al centro e tutti gli altri intorno a girare a vuoto. Come in un accerchiamento di indiani urlanti di gioia e frenesia.
Dopo uno, due, più giri con il mal di testa si lasciarono cadere a terra le bici. A caso, dove capitava, per costituire capannelli separati di amici. Per bere, chiacchierare, confrontarsi, mangiare. Con lo scendere della sera i gruppi seduti aumentarono. Alla fine la piazza si riempì. Non c'erano più spiazzi vuoti. Si era diventata una massa eterogenea unica. Non so quanto critica. Comunque anche grazie alle luci giallastre della piazza, alla facciata scura della chiesa gotico-circestense, al vociare continuo come un mantra, sembrava di partecipare a un grande rito pagano. Tanta l'eccitazione,la frenesia nel perdersi in quella folla mormorante.
Verso mezzanotte arrivò pure la banda, un gruppo di olandesi venuti così, senza preavviso. Facendosi spazio tra la gente conquistò il centro della piazza per intonare canti di guerra. Delle musiche balcaniche capaci di accendere gli animi ebbri prima di buttarsi a capofitto nel buio profondo della notte. A caccia di chissà quale avventura inattesa.

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