venerdì 24 dicembre 2010

Galeotto fu...

Cena yoga prima di natale.
In tutto una decina di partecipanti.
Tra di essi Francesca.
Gli era piaciuta sin da subito.
Sebbene il loro rapporto non fosse semplice né lineare.
Francesca era stata toccata dalla vita.
Il suo equilibrio ne aveva risentito.
Da primogenita aveva dovuto sopportare da sola il peso della crisi. La frantumazione del suo mondo “naturale”, la famiglia.
L'umore era soggetto a sbalzi improvvisi.
Da allora i suoi occhi non avevano smesso di urlare in silenzio.
Increduli di fronte a quella realtà disarmante, imprevista.
Impossibile affrancarsene.
Si era dovuta presto abituare a vivere con la terra tremante sotto i piedi.
In attesa del crollo.
Quando capitava di botto, senza preavviso.
Non c'era tempo per la disperazione.
Si doveva ripartire.
Senza fiatare.
Fosse concesso avrebbe preferito affondare indolentemente.
Non senza autocommiserarsi un po'.
Tanto nessuno perde tempo a ascoltarti, a comprenderti.
In questi casi ci si può solo rialzare.
Da soli.
In silenzio.
Per ricominciare a marciare come nulla fosse successo.
Perché il mondo intorno non si ferma a aspettarti, va avanti.
Allora sei costretto a rincorrerlo con affanno.
Non c'è mai tregua.
Né pace, né vacanza.
Il tour de force della vita.
Quel giorno era cambiato qualcosa.
Lo aveva cercato lei con lo sguardo.
Fin da subito.
Da quando si erano incontrati all'appuntamento pattuito.
Mostrando un sorriso delicato, accogliente.
Il suo corpo si avvicinava con naturalezza.
Senza frapporre ostacoli.
Davanti al bicchiere di birra smezzato insieme si era aperta.
Di più...
Aveva rilanciato.
Quando mi inviti a casa?
Lui era rimasto sorpreso da tale slancio.
Ma anche contento.
Prima possibile...
Magari dopo le feste...
Porta anche i libri.
Così si studia insieme.
Poi dalla borsa tira fuori un fumetto.
Appena letto te lo passo.
Attraverso quella borsa si era spalancato un varco nella sua intimità, nei suoi interessi quotidiani.
Un modo per donarsi all'altro.
Senza barriere.
Con naturalezza.
Aveva fatto centro.
Anche lui era un appassionato di fumetti.
Restava il fatto della novità.
D'incanto le porte del suo intricato labirinto si erano spalancate.
Ora era concesso penetrare nei suoi santa santorum.
Non c'erano più impedimenti.
Quale chiave aveva aperto le serrature.
Cosa era successo?
Quella notte la luna aveva virato prepotentemente verso il rosso per scomparire del tutto dietro uno sfondo nero impenetrabile come non mai da più di quattrocento anni.
Quella notte solstizio d'inverno astronomico, calendariale, luna piena, eclissi totale erano collassati.
La notte più buia di tutte.
Senza l'illuminazione del sole, ora anche della luna.
Rimanevano solo le stelle lontane anni luce.
Quando alla fine della sera si salutarono.
Lo fissò intensamente.
Poi lo accarezzo delicatamente sul volto.
Lui non comprese subito.
Rimase spiazzato.
Sebbene avesse portato con sé quella carezza come un bene prezioso.
Custodendola nei suoi pensieri.
Fino la mattina seguente.
Quando la nebbia si diradò lentamente.
Sensibilizzata a sopravvivere davanti alla vita cieca, ottusa, Francesca aveva risposto.
A modo suo.
Con tutta se stessa.
Nonostante la voragine spalancata da tempo sotto i suoi piedi.
Un doppio salto carpiato nel vuoto.
Lo avrebbe capito?
Sarebbe stato altrettanto sensibile da accoglierla?

domenica 5 dicembre 2010

Mattina presto in stazione

Otto e trenta di mattina.
Stazione di Bologna.
Binario sette.
Tra cinque minuti parte il treno per Ancona.
Oramai sono diventato il pendolare del soccorso.
La mamma chiama...
Mi tocca scendere.
Fuori piove.
Una pioggia finta.
Secondo Vera.
Una giovane amica austriaca.
Ti bagna ma non la vedi.
Il binario è pieno di persone in attesa.
Sono tutte tristi.
Come le passioni dei nostri tempi.
Immobili nella loro routine quotidiana.
Come ogni giorno aspettano il treno per andare a lavoro, a scuola.
Non fa differenza.
I volti non esprimono nulla.
Se non rassegnazione.
Sono tutti vestiti bene.
Senza essere ricercati.
Sobri fino a scomparire nel grigiore della stazione.
Stanno in fila ordinati.
Nessuno fischietta, sorride, dialoga.
Le labbra sono serrate.
Mute.
Gli occhi spenti.
Assenti.
Qualcuno rimbalza lo sguardo sul giornale.
Per circoscrivere recinti.
In tale clima plumbeo a parlare sono i monitor della pubblicità.
Di auto.
Oggetti fashion.
Usano colori accesi.
En pendent con i toni delle superfici da poco rinnovati.
Dovrebbero stimolare.
Provocare sensazioni piacevoli.
Invogliare.
Far agire.
Anche grazie alla musica di sottofondo.
Solitamente motivi esotici, spensierati.
Il tutto stona assai con l'atmosfera presente.
Nessuno ci fa più caso.
Il monitor vicino le scale ha una cassa andata.
Il suono è sparato al massimo.
Va in distorsione battente.
Secondo un ritmo costante.
Sembra un effetto ricercato.
Da fastidio.
Tutti sono irreprensibili.
Come non ci fosse.
Non lo udissero.
Inabissati metri e metri nei loro bunker.
Nessuno si prende la briga di cercare il telecomando per spegnerlo.
Oppure la spina per staccare lo strazio.
Andrebbe bene anche scaraventare con rabbia la propria ventiquattrore di plastica dura contro lo schermo.
Fino a frantumare la superficie.
Per far uscire la materia grigia.
Transistor, fili, schede elettriche.
Come fuochi d'artificio.
Nessuno compie tale gesto caritatevole.
Sono tutti sprofondati nel buio peso.
Con lo spirito vitale lasciato a dormire sotto le lenzuola.
Non è ancora ora di svegliarsi.